Visti dall’alto, sono quindici trapezi coperti dal verde, disposti a raggera tra le strette maglie dei quartieri della Capitale.
Non solo Mura Aureliane: Roma è circondata da quello che in gergo militare si chiama campo trincerato. Quindici forti prussiani, con terrapieno addossato al muro esterno e fossato asciutto, di forma trapezoidale e armato di cannoni di medio calibro, costruiti tra il 1877 e il 1891 durante il Regno d’Italia dovevano difendere Roma da eventuali attacchi militari dell’esercito francese.
Oggi completamente dismessi o trasformati in presidi militari e caserme, fanno parte del patrimonio demaniale di cui il Campidoglio ha provato ad ottenere la proprietà, sfruttando la riforma sulfederalismo demaniale varata dal governo Monti.
Il tutto, però, si è concluso in una mezza beffa. Dei 110 richiesti, l’Agenzia del Demanio ha accordato solo 37 beni, di cui la maggior parte sono strade, che il Demanio possedeva in quanto adiacenti caserme e ministeri.
Nulla di fatto, quindi, per i Forti Bravetta, Prenestina, Ardeatina, Portuense e Monte Mario, che rimangono di proprietà dello Stato. L’unico di proprietà del Comune è dunque Forte Monte Antenne, che sovrasta tra il verde di Villa Ada ed è lasciato nel più completo abbandono.
Dopo anni di incuria, oggi l’amministrazione Marino ha attivato un protocollo di intesa con il ministero della Difesa che ha permesso di includere al patrimonio comunale Forte Tiburtina (oggi caserma Ruffo), Forte Trionfale (inglobato nella caserma Ulivelli) e Forte Boccea.
Prima che l’amministrazione tornasse ad occuparsene, però, i forti sono da ormai un paio d’anni al centro di numerosi progetti di recupero nati dal basso. Comitati civici come il Comitato Forte Bravetta e l’Associazione Culturale Forte Portuense lavorano da anni per il recupero e la valorizzazione di queste strutture, molte delle quali seminascoste dalla vegetazione e lasciate nel degrado.
LA STORIA – Monte Mario, Trionfale, Braschi, Boccea, Aurelia Antica, Bravetta, Portuense, Ostiense, Ardeatina, Appia Antica, Casilino, Prenestino, Tiburtino, Pietralata, Monte Antenne. I quindici forti portano quasi tutti il nome della strada consolare che erano destinati a presidiare e sono disposti a raggera, a 5 chilometri dalle Mura Aureliane e distanti 3 chilometri uno dall’altro, per una circonferenza immaginaria intorno alla città di circa 40 chilometri.
La loro costruzione venne completata in cinque anni, per una spesa di circa 23 milioni di lire dell’epoca. Lo sviluppo della Capitale, però, rese il campo trincerato un investimento davvero poco lungimirante da parte del Regno d’Italia: le strutture vennero quasi subito pensionate.
Troppo vicine alla città, furono presto inglobate nei quartieri periferici e l’evoluzione dei sistemi balistici a maggiore gittata li aveva resi inoffensivi, perchè facilmente scavalcabili. Con Regio Decreto del 1919, allora, vennero radiati dal novero delle fortificazioni dello Stato e trasformati incaserme e depositi militari.
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I PROGETTI – “La ricchezza dei forti è il silenzio, appena si varca il portone è come se si creasse il vuoto: spariscono i rumori della città. Sono dei luoghi eccezionali da restituire alla cittadinanza”, ha raccontato l’architetto Simone Ferretti, promotore del gruppo di studio interdisciplinare nato nel 2011 con il nome di “Progetto Forti”.
“Pensare la riqualificazione di strutture di queste dimensioni spaventa, soprattutto per i costi. Io penso però che bisogna evitare l’ansia da prestazione e ragionare con una logica dei piccoli passi: riappropriarsi dei forti significa invertire lo stato di degrado, nel tempo”. Iniziando dalle piccole cose, per esempio con la pulizia del verde e la messa in sicurezza.
Secondo l’architetto, i forti possono creare un percorso anulare intermedio all’interno della città, tra il Grande Raccordo Anulare e le mura Aureliane. “Nel lungo periodo, si potrebbe immaginare un percorso ciclabile, con stazioni di sosta in ogni forte”.
Oggi, infatti, la viabilità romana rende difficile raggiungere i 15 forti, perchè non esiste alcun viale anulare che li colleghi, ma solo le consolari che interrompono il percorso. “Curiosamente, pochi sanno che una delle principali vie della città, via Palmiro Togliatti, è nata proprio come strada militare per collegare i forti Casilina, Prenestina, Tiburtina e Pietralata”.
Oggi, però, sembra davvero che qualcosa si stia muovendo, da parte dell’amministrazione pubblica. “Roma Capitale sta dimostrando una grande attenzione per i forti, cercando di immaginare un percorso mirato su ogni singolo forte ma anche una progettualità d’insieme. Un esempio è quello diForte Trionfale, in cui il primo studio di fattibilità per la riqualificazione è stato accolto e nasce dalla tesi di laurea di un giovane architetto”.
Non solo forte Trionfale, però, anche Forte Portuense è oggi al centro di un concorso di idee per giovani architetti, il Rome Community Ring (www.youngarchitectscompetitions.com/it), per trovare un nuovo utilizzo della struttura, oggi visitabile grazie a un gruppo di volontari .
L’unico dato certo è che, per reintegrare tutti i forti nel tessuto cittadino, è necessario immaginare un percorso di lungo periodo, “almeno una decina d’anni” secondo l’archietto Ferretti. Magari sfruttando anche i fondi comunitari europei, per non pesare sulle casse comunali, e provando ad includere anche i privati nei progetti di riqualificazione.